In questo periodo storico, la parola resilienza è spesso invocata. Per essere più precisi, esistono serie ragioni per nominarla. Al momento attuale è possibile reperire un ricco patrimonio di ricerche e di riflessioni sulla resilienza che permettono, anche in campo educativo, di orientare le pratiche di educatori, insegnanti, genitori, affinché esse possano realmente contribuire a migliorare la qualità dei processi educativi secondo la prospettiva dell’inclusione.
A voler osservare con cura ed essere precisi, la parola resilienza è divenuta così popolare che può essere utile chiarire la struttura di senso che la caratterizza e le potenzialità che può esprimere. Si è passati da un estremo in cui il suo studio riguardava solo pochi professionisti a un altro in cui il costrutto è analizzato da molti settori scientifici disciplinari ed è divenuto un termine utilizzato anche in ambito organizzativo, economico, politico, sociale, ambientale.
Si parla di resilienza perché mai come in questo periodo si vivono delle rotture, dei momenti di grande fatica, di diseguaglianze che producono crisi e altissimi livelli di vulnerabilità che non riguardano solo categorie predefinite. Nessuno è escluso e tutti, in modo più o meno diretto, sono coinvolti. Per queste ragioni forse sarebbe più opportuno parlare di resilienze al plurale perché, a seconda del fenomeno oggetto di studio, delle situazioni, delle culture, delle organizzazioni il processo si manifesta in modi e forme differenti.
LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO a cura di Elena Malaguti
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