Il 2015 è stato, per l’Italia, l’anno della definitiva esplosione dell’interesse per l’integrazione tra scuola, formazione e mondo del lavoro, anche grazie al contributo della “Buona Scuola”. Tale tema è noto ormai al grande pubblico con l’espressione “Alternanza Scuola Lavoro”.
Non è la prima volta che questo tema si affaccia all’attenzione del sistema scolastico italiano. L’alternanza era già prevista, con connotazioni diverse dalle attuali, per legge per le scuole superiori già dalla metà degli anni 2000 (D.Lgs. 77/2005 e dai D.P.R. 87, 88, 89/2010). L’INDIRE, per almeno sei anni, dal 2007 in poi, ha rilasciato dei report annuali sulla sua diffusione in Italia. L’attuale normativa però ha cambiato completamente gli assetti, introducendo un ruolo curricolare che l’alternanza non riusciva ad avere in passato.
Il dibattito su questo tema non solo non è nuovo, ma non è, ovviamente, neanche una peculiarità italiana. Tralasciando il dibattito sul sistema duale, ormai da anni si discute a livello mondiale sul problema del mismatch tra domanda e offerta di competenze.
Il World Economic Forum fa notare come tale mismatch sia uno dei problemi principali da affrontare nella creazione di posti di lavoro chiamando in causa il mondo dell’istruzione che, prima di altri sistemi, contribuisce allo sviluppo delle competenze di base di ciascun individuo. Un recente rapporto del CEDEFOP (2015) indica come, a livello europeo, la percentuale dei lavoratori le cui competenze sono a livelli più bassi del necessario per raggiungere la piena produttività è del 44%, mentre è del 21% la percentuale di lavoratori che hanno meno dei livelli minimi di competenza richiesti per iniziare la loro prima esperienza lavorativa.
Nel contesto italiano, da un sondaggio di Eurobarometro del 2010 (The Gallup Organization, 2010) risulta che il 33% delle aziende intervistate fatica a trovare candidati con le giuste competenze. Nel 2013 uno studio condotto da Manpower dava tale percentuale prossima al 35%. Alcuni datori di lavoro sostengono di non riuscire a trovare candidati adatti ai profili ricercati, poiché chi è altamente qualificato non è in possesso di competenze tecnico/operative adeguate.
Oltre a ciò molte aziende sono preoccupate da una quasi totale assenza di competenze trasversali tali come: saper mantenere una relazione interpersonale, saper comunicare in modo efficace, saper risolvere problemi, imparare ad apprendere, … Anche se la scuola non ha una mission esplicita (a differenza della Istruzione e Formazione Professionale) nel preparare, in senso stretto, giovani lavoratori, è inevitabile che il mismatch tra competenze in uscita dal sistema educativo e in entrata nel mondo del lavoro venga ricondotto ad essa. E oggi diventa inevitabile considerare l’alternanza come l’unico antidoto per curare tale mismatch.
Sappiamo che il processo di alternanza scuola lavoro si realizza su più livelli, tra cui: pedagogico-didattico, psico-sociale, organizzativo, normativo-procedurale. Tutti questi livelli appaiono considerati nella new-wave dell’alternanza italiana. Ad oggi non disponiamo di dati empirici per riflessioni più approfondite sugli esiti del nuovo processo di alternanza nella scuola italiana, però possiamo spiegare il perché alcuni livelli sono più critici degli altri in questo processo.
Ad esempio, tra i quattro precedentemente indicati, il livello psico-sociale e quello organizzativo possono rivestire, intercettando lo sviluppo individuale dei nostri studenti, un’importanza decisiva nel successo dell’alternanza.
Parlare di alternanza in termini psico-sociali significa focalizzare l’attenzione sullo sviluppo di una serie di caratteristiche individuali, che in parte possiamo definire come competenze trasversali, necessarie per affrontare al meglio l’uscita dalla scuola e l’ingresso nel mondo del lavoro (e per ridurre il più possibile il già citato mismatch di competenze). Focalizzerò l’attenzione su temi attualmente assenti nel dibattito nazionale sull’alternanza: lo sviluppo di prototipi professionali mentali e l’adattabilità professionale.
Il primo tema è legato alla costruzione dell’identità e del sé, processo tipico dell’età dello sviluppo. Secondo Guichard (2006) già dall’età prescolare iniziamo a sviluppare una serie di rappresentazioni mentali delle diverse professioni (i cosiddetti “prototipi professionali”), in base alle informazioni che abbiamo a disposizione, ma soprattutto in base al nostro sviluppo cognitivo. Tali prototipi all’inizio sono più elementari e comportamentali, mentre con il passare del tempo diventano più complessi e astratti. Queste auto-rappresentazioni diventano parte della nostra identità attraverso un processo di interiorizzazione, che lascia sullo sfondo le caratteristiche più semplici di tali prototipi (percezioni, comportamenti), per valorizzare maggiormente caratteristiche di personalità, e poi successivamente aspetti ideologici, sociali, morali e politici. In sintesi, secondo questo approccio, per noi una professione non è semplicemente “il cosa si fa”, ma tutto ciò che caratterizza le persone che fanno questo lavoro, la loro collocazione sociale, i loro orientamenti ideologici, le regole e i valori. Tali aspetti non sono una protesi esterna al nostro mondo di rappresentazioni, ma diventano parte di noi, tant’è che sarebbero poi alla base delle nostre effettive scelte professionali. Risulta evidente il potenziale ruolo che le esperienze di alternanza scuola lavoro, se ben organizzate da questo punto di vista, possono avere nello sviluppo di prototipi professionali mentali funzionali poi a positive scelte professionali successive.
L’adattabilità professionale è un costrutto che negli ultimi anni è diventato centrale negli studi sulla psicologia dell’orientamento, soprattutto grazie alle riflessioni di Savickas (1997). Si tratta della propensione che ciascuno di noi ha ad affrontare in modo adeguato i compiti evolutivi per prepararsi e partecipare al ruolo lavorativo e ad adattarsi alle richieste impreviste dovute ai cambiamenti del mondo del lavoro e delle condizioni lavorative. Si sviluppa su quattro dimensioni principali: 1) la preoccupazione professionale; 2) il controllo professionale; 3) la curiosità professionale; 4) la fiducia in sé stessi. In sostanza si tratta della caratteristicha psico-sociale per eccellenza che ci consentirebbe di utilizzare al meglio le nostre risorse personali per affrontare e superare i momenti di transizione. Anche in questo caso pensiamo a quanto ne potrebbero giovare i percorsi di alternanza scuola lavoro se fossero basati esplicitamente sullo sviluppo dell’adattabilità professionale degli studenti.
Considerare l’alternanza da un punto di vista organizzativo porta ad una dinamica molto ampia di attività. Dalle relativamente semplici attività di organizzazione del processo (collegate con l’ambito normativo-procedurale), ai processi organizzativi attivati e coinvolti nel momento in cui gli studenti diventano, di fatto, anche se per poco tempo, parte dell’organizzazione di lavoro che li ospita. L’impatto delle variabili organizzative sull’esperienza di alternanza è da tenere in forte considerazione per gli studi futuri in questo ambito: si pensi agli esiti motivazionali di processi come l’identificazione organizzativa, o la percezione di cittadinanza organizzativa che possono essere rimodulati nella realizzazione dell’alternanza scuola-lavoro. Potrà sembrare banale, ma percepire di avere il proprio “spazio”, il proprio “ruolo” all’interno di un’organizzazione ha un effetto benefico sui comportamenti e sugli atteggiamenti dei soggetti coinvolti, grazie anche al ruolo delle variabili motivazionali (Battistelli et al., 2013). Visto che l’esperienza di alternanza è anche, e soprattutto, un’esperienza di apprendimento, tale effetto benefico potrebbe riguardare anche il coinvolgimento e la motivazione ad apprendere nei luoghi di lavoro. In maniera più o meno esplicita tale elemento organizzativo è uno degli aspetti cardine del sistema duale che troviamo nei paesi di lingua tedesca ad esempio (Beozzo, 2016): lo studente non solo un ospite dell’organizzazione, ma ne è a tutti gli effetti parte, con tutti gli aspetti positivi legati a tale senso di appartenenza (e forse qualche aspetto negativo come l’uso dell’alternanza per attività pre-selettive e di reclutamento che avvantaggiano più l’azienda e meno lo sviluppo di interessi professionali del soggetto in formazione).
Dal mio punto di vista, come già accennato, parlare di processi organizzativi nell’integrazione tra scuola, formazione e mondo del lavoro non può prescindere dall’approfondire due ulteriori processi: il transfer degli apprendimenti, e l’innovazione dei processi didattici e di apprendimento.
Per anni mi sono occupato di training transfer in età adulta e in contesti organizzativi (Pisanu & Fraccaroli, 2007; Pisanu et al. 2014). L’elemento che contraddistingue questa tipologia di transfer è proprio l’interesse per le variabili organizzative coinvolte. In questa prospettiva, il trasferimento degli apprendimenti dalla formazione al lavoro non si ottiene semplicemente lavorando sulla proposta formativa (rendendola ad esempio più congruente con le caratteristiche del lavoro a cui la formazione è rivolta), ma anche e soprattutto sulla dimensione organizzativa del transfer: sugli elementi facilitanti e sulle barriere, sulle dinamiche sociali, sulle attività preparatorie all’apprendimento, ecc. (Grossman & Salas, 2011). Mi sembra ragionevole porre la stessa attenzione anche a chi si occupa di transfer degli apprendimenti, tra scuola e mondo del lavoro: sicuramente l’aspetto pedagogico-didattico è importante per una buona riuscita del processo di alternanza, ma lo è altrettanto la dimensione sociale e organizzativa, attraverso cui si può realizzare il transfer.
In una recente edizione italiana del lavoro del 2003 curato da Tuomi-Grohn & Engestrom dal titolo “Between School and Work. New Perspectives on Transfer and Boundary-Crossing” (Ajello & Sannino, 2013), gli autori presentano una sintesi delle differenti concettualizzazioni del transfer in ambito educativo che si sono succedute nell’ultimo secolo di studi su questo tema. Tale sintesi è riproposta in tab. 1.
Tabella 1 – Differenti concettualizzazioni del transfer (Tuomi-Grohn & Engestrom, 2003).
Autore |
Base del transfer |
Modalità del transfer |
Compito |
||
Thorndike | Elementi identici |
Transfer specifico |
Judd | Strategie generali |
Transfer esteso |
Approcci cognitivisti (es. Sternberg) | Schemi |
Transfer specifico e esteso |
Individuo |
||
Bereiter | Carattere, comportamento intelligente |
Transfer delle situazioni |
Contesto |
||
Approccio situato (es. Greeno) | Azioni individuali in situazioni statiche |
Transfer della partecipazione sociale |
Approccio socio-culturale (es. Beach) | Azioni individuali in organizzazioni sociali differenti e mutevoli |
Transfer individuale di sviluppo |
Teoria dell’Attività (es. Engestrom; Davydov) | Attività collettiva in organizzazioni sociali differenti |
Transfer collettivo di sviluppo |
Tale sintesi è interessante per capire meglio quale può essere attualmente la visione del transfer degli apprendimenti tra scuola e mondo del lavoro, e viceversa. Se la parte alta della tabella fa riferimento a modelli centrati su variabili individuali e di compito, la parte bassa indica tre modelli che declinano il transfer considerando il contesto come variabile prioritaria, che non esclude le altre, ma le ricolloca rispetto alle problematiche organizzative e sociali. Mi pare che tra i contributi più originali prodotti in questi ultimi anni sul tema del transfer, la Teoria dell’Attività sia stata, ed è tuttora, un eccellente punto di incontro tra riflessione teorica e applicazione pratica, e che possa rappresentare proprio per questo, per chi progetta e gestisce processi di integrazione tra scuola e mondo del lavoro, un solido strumento da utilizzare.
I concetti di “oggetti di confine” e di “attraversamento dei confini”, creati all’interno di questo approccio, dal mio punto di vista sono i più interessanti per le scuole, così come lo strumento del “laboratorio di attraversamento dei confini”. Ciò che rende innovativo il pensare al processo di alternanza scuola lavoro da questo punto di vista è l’ottica sistemica e il fatto che i sistemi scuola e lavoro possano essere messi in comunicazione attraverso degli “oggetti di confine”, come le esperienze di alternanza, che ad un certo punto non sono più considerabili come semplici esperienze scolastiche, ma neanche come esperienze lavorative, e in cui “l’attraversamento dei confini” non è semplicemente unidirezionale (la scuola che entra nel mondo del lavoro), ma costantemente. A ben vedere, il soggetto che dovrebbe beneficiare di più dal processo di transfer non è solo la scuola, o il gruppo di studenti, ma l’organizzazione di lavoro che ospita tale esperienza, e che può basare su questa una parte del proprio processo di innovazione.
Il tema dell’innovazione è strettamente legato a quello del transfer. Anche in questo caso non è in gioco solo il cambiamento da parte della scuola, ma dell’intero sistema integrato, organizzazioni lavorative in primis. È ormai un dato acquisito nella ricerca psicologica e organizzativa, che il processo di innovazione non si realizza unicamente nella dimensione individuale (nella sua sovrapposizione con il processo creativo), ma necessita di un sistema organizzativo o inter-organizzativo per realizzarsi pienamente (Amabile, 1988).Per quanto riguarda il processo di innovazione nell’alternanza scuola lavoro, attualmente il focus è centrato sulla dimensione didattica e dell’insegnamento. Il Problem Based Learning appare oggi come un ottimo strumento di innovazione della didattica per facilitare l’integrazione tra scuola e mondo del lavoro. Altri si spingono a delineare scenari di classi aperte, capovolte, smart, 4.0, ecc.
Da questo punto di vista, un’altra dote importante dalla ricerca psicologia e organizzativa sul processo di innovazione è legata alla dimensione temporale, da una parte, e di “radicamento” dall’altra. In questi ultimi anni (soprattutto in questo ultimo anno), in Italia è stata imposta una tabella di marcia all’introduzione dell’alternanza scuola lavoro a di poco forzata, con un passaggio, in alcuni casi, da zero a centinaia di ore di alternanza obbligatoria nel triennio delle superiori. Di per sé è da accogliere positivamente (l’ennesimo) tentativo di avvicinamento tra mondo della scuola e mondo del lavoro, ma il rischio di effetti collaterali, soprattutto per la scuola e per gli studenti, da “disruptive innovation” è dietro l’angolo.
Ad oggi sappiamo che l’innovazione sociale può diffondersi solo se è presente e attivo, all’interno dei sistemi e delle comunità che la accoglie, l’esito di ciò che viene definito come “effetto dente d’arresto” (Pringle, 2013). Con questa espressione vengono indicati tutti i pre-requisiti che una innovazione richiede per stabilizzarsi e diventare pratica quotidiana, un “dente d’arresto” che impedisce alle componenti dell’innovazione di regredire ad uno stadio precedente, nell’impossibilità di essere pienamente applicate. Nel caso dell’alternanza scuola lavoro il rischio è che tale “dente d’arresto”, sia sul versante scuola che su quello organizzativo, non sia stato ancora raggiunto e che si spinga dunque il piede dell’acceleratore su strutture, compiti e funzioni che semplicemente non hanno una base solida su cui impiantarsi (questo purtroppo è anche il destino delle tecnologie applicate in ambito didattico, spinte dalla retorica dell’innovazione, ma non da basi solide su cui impiantarsi nell’esperienza di lavoro quotidiana degli insegnanti).
Ne può derivare come esito l’esporre gli studenti a quello che potremmo definire (con un parallelo con l’educazione alimentare, e con il “junk food” che sazia, ma non fa bene alla salute, anzi) come “junk learning on the job”, cioè quelle esperienze di alternanza che saziano l’esigenza base (saturare il monte ore in azienda), ma non creano apprendimento significativo.
Bibliografia
Ajello, A. & Sannino (a cura di) (2013). Tra scuola e lavoro. Bologna: Il Mulino.
Battistell,i A., Galletta, M., Portoghese, I., Pohl, S., & Odoardi, C. (2013). Promoting Organizational Citizenship Behaviors: The Mediating Role of Intrinsic Work Motivation. Le travail humain 76 (2), pp. 205-226.
Beozzo, (2016). Essere o non essere (come la Germania)? Il dilemma italiano sul modello duale. Ricercazione, 8(1), pp. 71-90.
Campagnoli, G. (2016). Scuola Aperta, Fab Lab, Imprese Studentesche, Alternanza Scuola lavoro: innovazione verso una scuola più contemporanea e motivante. Ricercazione, 8(1), pp. 133-144.
CEDEFOP (2015). Skill shortages and gaps in European enterprises. Cedefop reference series 102. Luxembourg: Publications Office of the European Union.
Grossman, R., & Salas, E. (2011). The Transfer of Training: What Really Matters. International Journal of Training and Development, 15, 103-120.
Guichard, J. (2006). Theoretical frames for the new tasks in career guidance and counselling. Orientación y Sociedad, vol. 6, pp. 35-47.
Pisanu, F. & Fraccaroli, F. (2007). Il transfer dalla formazione al lavoro: modelli teorici e misurazione. Psicologia della Formazione e dell’Educazione, 9(3), pp. 7-32.
Pisanu, F., Fraccaroli, F., & Gentile, M. (2014). Training transfer in teachers training program: a longitudinal case study transfer of learning in organizations. In K. Schneider (Ed), Transfer of learning in organizations. Heidelberg: Springer (p. 99-120).
Pisanu, F. (2016). Integrare scuola, formazione e mondo del lavoro: il processo di alternanza dal punto di vista delle caratteristiche individuali degli studenti (Editoriale). Ricercazione, 8(1), pp. 7-16.
Pringle, H. (2013). The origins of creativity. Scientific American, 308, pp. 36-43.
Savickas, M.L. (1997). Career Adaptability: An Integrative Construct for Life-Span, Life-Space Theory. The Career Development Quarterly, 45(3), pp. 247–259.
The Gallup Organization (2010). Employers’ perception of graduate employability Analytical report. Flash EB Series #304. European Commission.
Tuomi-Grohn, T. & Engestrom, Y. (Eds) (2003). Between School and Work. New perspectives on transfer and boundary crossing. Amsterdam: Pergamon.
Francesco Pisanu è ricercatore senior in area educativa per la Provincia autonoma di Trento e attualmente è responsabile dell’Ufficio per la valutazione delle politiche scolastiche.
Si è laureato in psicologia presso l’Università di Cagliari e ha conseguito il dottorato in Information Systems and Organization all’Università di Trento.
Dal 2008 al 2015 ha lavorato nell’Istituto provinciale per la ricerca, l’aggiornamento e la sperimentazione educativa (IPRASE) della Provincia autonoma di Trento, coordinando progetti di ricerca su innovazione didattica e tecnologie, inclusione e bisogni educativi speciali, capitale sociale, variabili psico-sociali nell’apprendimento, dinamiche organizzative e leadership per l’apprendimento, ricerca valutativa e valutazione degli apprendimenti, formazione degli insegnanti, orientamento scolastico e career design.
Dal 2016 al 2017 presso la Fondazione Franco Demarchi di Trento si è occupato di valutazione delle politiche pubbliche, inclusione sociale e integrazione delle politiche di education dalla scuola dell’infanzia all’età adulta.
Per l’Ufficio per la valutazione delle politiche scolastiche supporta il Comitato provinciale di valutazione nell’implementazione del sistema provinciale di valutazione e il Dipartimento della conoscenza in attività di ricerca valutativa sul sistema locale, tra cui la valutazione delle competenze non cognitive negli studenti del primo e secondo ciclo.
Per l’Università di Trento ha insegnato psicologia sociale dei gruppi e dal 2008 è docente a contratto di psicologia della formazione e dell’orientamento nel Dipartimento di psicologia e scienze cognitive.
È direttore scientifico della rivista «RicercAzione» di Iprase.
Commenti recenti