Politiche giovanili.
Slide: https://www.slideshare.net/gcampagnoli/2022-giovani-e-spazi-urbani
Se la pandemia ci è servita a sottolineare l’importanza della fisicità delle relazioni, unita alla dimensione virtuale come un continuum, si è anche appreso che i contenitori delle relazioni sono luoghi pieni di significati. Oltre ai “luoghi Scuola” però, gli altri spazi dedicati specificatamente dedicati alle nuove generazioni sono davvero pochi… Eppure, per bambine/i ed adolescenti, socialità, condivisione e aggregazione costituiscono uno degli aspetti fondamentali della crescita. Per questa ragione il diritto al riposo e al tempo libero, e la sua promozione attiva, sono sanciti dalla stessa convenzione sui diritti dell’infanzia: l’indagine di Openpolis a riguardo (v. https://www.openpolis.it/esercizi/i-centri-di-aggregazione-nel-contrasto-della-poverta-educativa/), ci dice che i centri di aggregazione hanno una funzione insostituibile per garantire la crescita delle comunità educanti sul territorio. Questi spazi sono definiti dall’Istat come Centri di aggregazione nei quali promuovere e coordinare attività ludico-ricreative, sociali, educative, culturali e sportive, per un corretto utilizzo del tempo libero [1].
Sempre secondo la stessa ricerca di Openpolis, i centri giovani sono una struttura portante nella costruzione di una comunità educativa sul territorio. L’infrastruttura sociale e materiale che consente ad esempio di organizzare una serie di attività extra-scolastiche: dalle lezioni di recupero alle attività sportive, dai laboratori creativi ai corsi per lo sviluppo di competenze. Senza contare iniziative culturali e momenti di incontro aperti a tutti, a prescindere dalla condizione familiare del minore. Il radicamento territoriale dei Centri consente di impostare politiche di lungo periodo. Questi spazi sui territori sono pochi: la media infatti è di circa 11 utenti dei centri di aggregazione ogni 1.000 residenti in Italia con meno di 18 anni, ma il rapporto varia molto tra le diverse aree del Paese. Le opportunità – in generale – per le nuove generazioni sono limitate e poco conosciute / utilizzate, a conferma generale che la condizione giovanile in Italia è in condizione di sofferenza, sia rispetto ai loro coetanei di altri Paesi europei, sia rispetto alla generazione dei propri genitori (Sedicesimo posto per l’Italia in Ue-28, secondo l’indice globale dello sviluppo giovanile, Global Youth Development Index).
Il PNRR può essere un’occasione di riscatto e miglioramento di questa situazione? Secondo un’altra ricerca di OpenPolis (v. https://www.openpolis.it/il-potenziale-impatto-del-pnrr-sulle-condizioni-dei-giovani/), non è possibile avere dati precisi sui fondi del Pnrr destinati ai giovani, anche se tutte le missioni del Pnrr, tranne la numero 6 dedicata alla salute, prevedono misure che possono influire sulla loro condizione. In particolare, le più incisive sono quelle su istruzione e ricerca (M4), coesione e inclusione (M5), digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo (M1).
Per questi motivi, la stessa ricerca di Openpolis sul potenziale impatto del PNRR sulle condizioni dei giovani (v. https://www.openpolis.it/il-potenziale-impatto-del-pnrr-sulle-condizioni-dei-giovani/), indica che non si tratta di cifre da leggere come effettivamente investite nel miglioramento delle condizioni dei giovani. Tra le riforme e gli investimenti previsti infatti, ve ne sono alcuni diretti ad ambiti di intervento più ampi o rivolti a tutta la popolazione e che quindi si presume possano avere ricadute anche su quella giovanile. È il caso, per esempio, dei fondi destinati ai progetti di rigenerazione urbana (misura 2.1 della missione 5, €3,3 miliardi), o al finanziamento di start-up (misura 3.2 della missione 4, €300 milioni) e molti altri. Va detto che il Fondo Nazionale per le politiche giovanili, non viene incrementato dal PNRR …
Una ipotesi di lettura – che unisce i risultati delle due ricerche – conferma l’importanza dei luoghi di aggregazione, non solo quelli riservati esclusivamente a minori e giovani (anche perché potrebbero rischiare di apparire come degli “spazi riservati” o delle “riserve indiane” dentro la comunità locale), ma anche i “community hub”, cioè spazi identitari utili dal punto di vista sociale e culturale, a più fasce di persone. In questo senso vanno viste le scelte del PNRR di investire su luoghi capaci di generare sviluppo e inclusione: un potenziale da “trattare con cura” vista anche la capacità della cultura di generare risorse ed occupazione. Detto ciò, ancora non vi è in Italia un Piano nazionale di sviluppo di questi spazi, nemmeno uno sulle politiche giovanili (nazionale o regionale), non vi sono registri di centri giovani, elenchi, georeferenziazioni… Qualche Regione nel tempo ha curato ricerche specifiche (Marche, Umbria, Lombardia, Trentino, Veneto), altre hanno sostenuto lo sviluppo dei centri giovani con bandi ad hoc, ma sempre in modo occasionale ed a spot. In questo sviluppo a “macchia di leopardo”, sono comunque emerse eccellenze, innovazione e trend che possono essere seguiti da chi intende oggi avviare uno spazio di questo tipo.
In questi anni più recenti, alcuni centri di aggregazione sono stati “contaminati” da percorsi di trasformazione che hanno portato sia a prevedere nuove funzioni d’uso, sia anche a cambiare “formula”. Si può rileggere una tensione all’assumere come finalità – per questi spazi – anche quelle di svolgere funzione di produzione culturale/creativa giovanile unita a quella di sviluppo di “competenze chiave”, spendibili anche sul mercato del lavoro. In questi contesti informali e non formali[2] avviene l’apprendimento del 70% di queste “8 Key competences”[3] fondamentale per permettere alle nuove generazioni l’accesso sociale.
Da qui il senso delle politiche giovanili: promuovere attività di “educazione non formale” basate sulla partecipazione volontaria dei giovani, finalizzata all’apprendimento di competenze[4]. In questo modo lo youth work può contribuire – ed in modo molto efficace – allo sviluppo dell’autonomia, della responsabilizzazione e dello spirito imprenditoriale, della creatività, della consapevolezza culturale e sociale, e dell’innovazione dei giovani, della partecipazione sociale, dell’impegno volontario, della cittadinanza attiva, dell’inclusione[5]. Questi concetti sono esplicitati nella definizione di “spazi giovanili” della U.E., che li definisce “centri di animazione socio-educativa”, cioè:
- ambienti in cui i giovani possono sviluppare la loro creatività e i loro interessi trascorrendovi proficuamente il tempo libero;
- luoghi che contribuiscono a creare per tutti i giovani, all’insegna della parità, maggiori opportunità nell’istruzione e nel mercato del lavoro;
- strumenti di inclusione, cittadinanza attiva e solidarietà;
- strutture guidate da animatori socioeducativi, in cui tutti i giovani, inclusi quelli non appartenenti ad alcuna organizzazione ed i giovani con minori opportunità, possano incontrarsi, creare e essere coinvolti in progetti;
- canali per sviluppare le capacità e le competenze dei giovani, specialmente di quelli con minori opportunità.
Coerentemente a questa impostazione, sono le indicazioni della Regione Emilia-Romagna che con la legge regionale 14/2008 finanzia annualmente lo sviluppo dei Centri di aggregazione, tanto che è il territorio dove la presenza di questi spazi è la più numerosa (318 su circa 1.400 in Italia[6], v. anche articolo “Spazi urbani per i giovani. Quanti sono? Quali sono? Cosa fanno?). Gli obiettivi della legge sono tre e cioè:
- sviluppare le attività̀ degli spazi anche attraverso esperienze di coinvolgimento nella gestione di realtà̀ associative e gruppi informali;
- realizzare progetti complessi, elaborati in via prioritaria dai giovani, e comunque con un loro diretto coinvolgimento, per valorizzarne le competenze e creare un contesto in cui siano gli stessi ragazzi e ragazze a proporre e progettare l’attuazione di risposte alle proprie esigenze di aggregazione e di partecipazione;
- realizzare esperienze, partendo sempre dai luoghi dell’aggregazione giovanile, che contribuiscano all’accrescimento e alla qualificazione del concetto di “cittadinanza”, alla trasmissione di concetti fondamentali quali quelli della tolleranza, della lotta al razzismo, del rispetto dell’altro, della cultura della pace e del contrasto a qualsiasi tipo di discriminazione.
Progressivamente, l’operatività di quei Centri giovani che riprogettano sull’onda dell’innovazione sociale, si caratterizza per una impostazione gestionale simile a quella di una vera e propria “impresa locale di animazione socio culturale”. Complice anche la riduzione delle risorse pubbliche e l’incremento di “domanda sociale”, si comincia ad organizzare in modo nuovo la risposta a questi bisogni. E proprio questo diventa il progetto di impresa sociale/culturale, capace di individuare processi di generazione di valore (anche economico), necessari alla sostenibilità del progetto stesso
Diventa centrale quindi il tema della sostenibilità del progetto e a questo fine vanno individuati i “drivers” di sviluppo di questi spazi, che possono essere un mix (a seconda dei diversi contesti) di queste dimensioni: aggregazione; musica; cultura e creatività; nuove competenze per nuovi lavori (anche tecnologia); impresa giovanile; sport; bar/piccola ristorazione; ospitalità (foresteria/residenza artistica); altri servizi connessi.
In questi luoghi, le attività sono costruite in modo da suscitare l’interesse di chi partecipa e tali da favorire l’interlocuzione tra i soggetti del territorio, sia in contesti formali che non formali. C’è un investimento sulle capacità creative dei giovani, che non si esprimono solo nell’ambito della produzione artistica, ma anche in forma di imprenditività e di invenzione e/o interpretazione di nuove forme di interazione sociale. La produzione culturale promossa al Centro non serve solo ai giovani, ma è fondamentale per garantire la vitalità̀ del territorio in cui il Centro si colloca.
La foto in evidenza è tratta dal sito di Casermarcheologica : https://www.casermarcheologica.it/scatola-dopo-scatola/. Foto: Silvia Noferi
[1] Fonte: Istat, definizione di Centro di aggregazione da glossario per l’indagine sugli interventi e i servizi sociali dei comuni
[2] Cioè famiglia, tempo libero, gruppi informali, organizzazioni giovanili.
[3] Classificate il 22 maggio 2018 dal Consiglio dell’Unione Europea, sono: 1- competenza alfabetica funzionale, 2- competenza multilinguistica, 3- competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria, 4- competenza digitale, 5- competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare, 6- competenza in materia di cittadinanza, 7- competenza imprenditoriale, 8- competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.
[4] Vedi anche Risoluzione del Consiglio, sulla promozione di forme nuove ed effettive di partecipazione di tutti i giovani alla vita democratica in Europa, Bruxelles, 9.06.2011.
[5] Fonte: Risoluzione del Consiglio, sull’animazione socioeducativa [G. U. Unione Europea, 4.12.2010].
[6] Fonte: https://www.oasisociale.it/news/centri-di-aggregazione-giovanile.html, mentre in Italia non esiste ancora una ricerca nazionale in materia di Centri di Aggregazione, né un registro nazionale
Giovanni Campagnoli è presidente della Fondazione Riusiamo l’Italia e si occupa in particolare di rigenerazione urbana e di start up culturali. Ha lavorato in Hangar Piemonte (www.hangarpiemonte.it) ed è stato (dal 2017 al 2021) membro del consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale giovani.
Dal 2004 dirige la rete politichegiovanili.it, lavorando nell’ambito della ricerca, della consulenza e della formazione su politiche pubbliche per la gioventù, in particolare start up, nuovi lavori, spazi di aggregazione e centri di innovazione culturale e sociale.
Nell’ambito delle politiche giovanili ha collaborato per anni con la Provincia autonoma di Trento, con Rete Iter, con le cooperative sociali Lotta di Sesto San Giovanni, Aurora Domus di Parma e Smart di Rovereto, con il Centro servizi volontariato Varese, con il Comune di Verbania e con la Fondazione Compagnia di San Paolo. Ha inoltre lavorato per il Comune di Rovereto (consulenza al Tavolo organizzazioni giovanili) e per le città di Formigine (progettazione incubatore su social innovation), Monza (candidatura a capitale italiana dei giovani) e Piacenza (progetto No Neet).
Dal 1993 al 2013 è stato amministratore della cooperativa sociale Vedogiovane (NO), occupandosi dell’area politiche giovanili, con attività di formazione e consulenza a molti enti pubblici e del terzo settore. Successivamente ha lavorato per l’Incubatore certificato Enne3 dell’Università del Piemonte Orientale.
Sul tema delle politiche giovanili ha curato numerose ricerche e pubblicazioni.
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