Neet del Trentino triplicati in 13 anni. Quando il primo passo blocca la capacità di proiettarsi nel futuro.

A ridosso della campagna elettorale trentina per il rinnovo del Consiglio Provinciale e quindi del suo governo, si affollano le valutazioni che dovrebbero portare ad un bilancio per il lavoro svolto dalla Giunta uscente e per rilanciare l’azione per il futuro.

La competizione politica e le offerte su base locale si suppone siano meno ideologiche di quelle attivate in sede di elezioni europee e nazionali. Tra le altre valutazioni acquisibili attraverso i dati, ci sono sembrate interessanti quelle relative alla dinamica evolutiva dei NEET (Not in Education, Employment, or Training), sigla di derivazione anglosassone che denuncia il pericoloso stato di inedia in cui alcuni giovani rischiano di trovarsi.

Ma quanti sarebbero? Beh in Trentino il dato è passato dal 5% del 2004 al 15% del 2015 (ISTAT dal sito OpenData). E se in Alto Adige sono raddoppiati nello stesso periodo, in Trentino sono triplicati.

Più in generale questo trend è specifico del Trentino se si mette a confronto con altre regioni o rispetto al dato nazionale. Quindi la domanda è perché in Trentino triplicano? Non vale citare il fatto che in Alto Adige hanno strutture sociali diverse da quelle trentine, perché abbiamo un dato peggiore anche di quanto accade nel resto d’Italia. E dunque perché.

Possiamo formulare solo delle ipotesi. Se adottiamo la linea cronologica come logica di analisi, peraltro fortemente messa in discussione dai lavori critici su come la scuola prepari i giovani alla vita adulta (es. Moscati 2013), emerge che questo primo passo non è in grado di fornire “carburante identitario” ai nostri giovani.

Ma come è possibile che nel momento della massima energia cognitive e relazionale, i giovani del Trentino entrino in “sospensione”? Si mettano in “folle”?

Probabilmente le ragioni sono tante e bisognerebbe ricerca dentro a ciascuna storia le ragioni profonde di questa situazione. Ma tra tutte si può individuarne una molto specifica: il nostro sistema formativo di base è omogeneizzante e ci obbliga a vedere solo la “comfort zone” lo sguardo di mezzo. Questo è particolarmente evidente nei percorsi delle scuole superiori.

Potenzialmente sono una fase in cui l’esplosione degli interessi dovrebbe essere massima e in cui gli insegnanti dovrebbero spingere verso una ricerca vocazionale i propri allievi. Invece una morsa terribile messa in atto da insegnanti e genitori, complici pure tutti gli adulti, guida questa fase della vita verso il posizionamento intermedio: non dare fastidio, studiare il giusto, comportarsi bene, fare i compiti, un po’ di sport e una dose moderata di internet.

Un posizionamento borghese potremmo dire. Se infatti la nostra può essere definita a ragione la società della conoscenza, il fatto che i NEET entrino in folle, significa che non hanno le conoscenze per ulteriori marce verso il futuro. La conoscenza acquisita li obbliga a parcheggiarsi perché il navigatore è fuori uso o semplicemente non si sa che destinazione affidargli. Nel frattempo ci si mette in folle e si aspetta… Ma purtroppo anche a stare fermi a volte si indietreggia. E malamente.

Photo by Liane Metzler on Unsplash

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